Economia delle Cose


NON AVER PAURA DI MARX
εὐδαιμονία (eudaimonìa) e precariato

1.Mettici l’anima e caccia la bestia! Il lavoro come realizzazione o alienazione?

Nei Manoscritti Parigini del 1844 Marx sviluppa il concetto di espropriazione del prodotto, riferendosi a come nel lavoro industriale l’operaio produce oggetti che immediatamente non conservano nulla della sua autorità, ma svincolati da ogni rivendicazione di copyright vivono di vita propria e assolutamente indipendenti dall’opera del lavoratore.
Questa autonomia dei prodotti fa sì che l’operaio non possa realizzare se stesso e la propria libertà nel lavoro – cosa che invece avviene nel lavoro artigianale, dove il produttore personalizzando gli oggetti prodotti vi deposita la sua anima e in questo depositare non perde niente di se stesso ma anzi guadagna una parte della propria identità che si allontana da lui conservandone la “firma”.
A questo punto dice Marx che “il lavoratore si sente libero e si sente se stesso solo nell’espletare i suoi bisogni primari, come mangiare, bere, fare l’amore” – al massimo nel possedere una casa, una macchina o nella cura del suo corpo, avvicinandosi così al vecchio detto che mio bisnonno Vincenzo amava ripetere: “Il lavoro nobilita l’uomo e lo rende simile alla bestia”.
Ecco perché un certo tipo di lavoro è bestiale ma non animale. ‘Bestiale’ nel senso dell’essere privo di umanità, e ‘non animale’ nel senso di non essere dotato di anima.
Accade quello che accade nella prostituzione: empiricamente si compie un atto d’amore, ma sostanzialmente un atto assolutamente privo d’amore. E che cos’è che emerge da questo lavoro dove non è concesso ‘metterci l’anima’? L’esclusività del denaro come fine unico dell’operare del lavoratore. Ci possono essere casi in cui la bestialità del lavoratore precede le dinamiche lavorative ed è egli stesso ad agire volontariamente con il solo scopo di un profitto economico, proprio perché la sua alienazione totale gli fa confondere l’anima col denaro e pensare di poter accrescere se stesso e rendersi libero solo nel profitto economico.

2.Economia e Autonomia

Ma la felicità, anzi, la εὐδαιμονία (eudaimonìa) – ovvero stare con un bello spirito, avere una bella anima – la si può trovare solo nel lavoro ‘auto-nomo’, cioè nel lavoro che risponde alle proprie (αὐτο) leggi (νομός), non solo nel lavoro indipendente, ma in quello dove la propria autonomia e le responsabilità autoriali siano riconosciute e rispettate.
Quindi, non necessariamente indipendenti, ma decisamente autonomi anche nel lavoro dipendente, dove l’operaio non è più se stesso. Alienato prima dalla catena di montaggio del tutto impersonale e priva di “anima”, alienato ulteriormente dalla “mobilità” del lavoro flessibile, quello dei contratti a progetto per progetti che non sono progetti, o quello a partita IVA per prestazioni professionali che non sono tali. La mistificazione dell’essenza del lavoro ha raggiunto oramai livelli dove la schiavitù viene spacciata per lavoro, ed è a partire dallo svelamento di questo mito che il lavoratore deve riappropriarsi del proprio lavoro e quindi di se stesso nel lavoro.
Solo attraverso questa demistificazione del lavoro e la decostruzione del suo vocabolario fasullo l’uomo può accedere ad un sistema economico nuovo dove gli sia data la possibilità di realizzare se stesso e la propria libertà in quello che fa. Mettendoci l’anima e avendo diritto a mettercela, il lavoratore – non solo libera se stesso – ma libera il mondo del lavoro e riconsegna al prodotto un’anima e una personalità, che sono le sue.
L’economia ritornerebbe ad essere quello che è, riconoscendo il valore delle cose nella ‘storia umana’ della loro produzione e non più nell’esclusivo cinico profitto numerico spogliato da ogni passione. L’economia come legge (νομός) della società (οἶκος), e un’economia dell’anima (εὐδαιμονία).

TRATTO DA: “Economia delle Cose”, di Angelo Mazzei (2012)

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