See on Scoop.it – Gazzetta Elbana
NON AVER PAURA DI MARX
Metabolismo e Resurrezione del rapporto Uomo-Natura
1. La snaturalizzazione dell’Uomo e la morte del liberismo
Marx definisce il lavoro come rapporto metabolico tra uomo e natura (nei Grundisse ‘1858 e in Das Kapital 1867). Nel lavoro l’uomo si rapporta alla natura modificandola e attualizzando le sue potenzialità, processo al termine del quale l’uomo si vede anch’egli trasformato nella sua propria natura.
Nel lavoro vivo la natura viene per così dire metabolizzata in oggetti, una volta compiuto il lavoro si sedimenta nell’oggetto come lavoro passato, ovvero storia di se stesso e del fatto di essere frutto di un metabolismo tra uomo e natura.
In questo senso per Marx non c’è la natura come opposto all’uomo che le sta di fronte, ma l’uomo stesso è natura e ne fa parte nella massima espressione proprio attraverso il lavoro.
Ora è bene chiarire che il lavoro di cui parla Marx è produzione, e nell’essere produzione è un evento poietico; mentre il lavoro negli ultimi venti anni si è trasformato in transazione, e credo che se Marx fosse vivo qui accanto a me difficilmente mi direbbe che sbaglio, ma semmai si sentirebbe in dovere di dover ripensare il suo concetto di lavoro e con esso quello di metabolismo sociale.
Con questo non intendo dire che l’operaio o il contadino non facciano un lavoro produttivo, ma voglio dire semmai che la suddivisione di capitale all’interno del mondo del lavoro vede una netta prevalenza di lavoro improduttivo.
Questo lavoro transitorio che si esplica con le figure che muovono capitali non è un’operazione metabolica tra uomo e natura che genera prodotti, ma un rapporto tra uomo e capitale che taglia fuori la natura e snaturalizza l’uomo, il lavoro e il prodotto.
Per esempio: se un tizio realizza un plusvalore del 80% semplicemente spostando un investimento da un fondo a un altro – questo sta a significare che per il capitale quel tizio “vale” più del contadino che per quanto bravo avrà potuto incrementare il suo raccolto al massimo del 8%.
Ma 8% di pomodori in più sono 8% di cibo in più, mentre 80% di denaro in più per “tizio” è solo 80% di denaro in meno per qualcun altro.
Cosa voglio dire con Marx oggi?
Voglio dire che il lavoro come metabolismo sociale se non è morto è moribondo; che questo nuovo lavoro di speculazione non produce nulla, perché dove si manifesta come ricchezza c’è sempre una semiologia della povertà che rimanda altrove; che Marx proporrebbe una decrescita positiva ed una revisione delle leggi e condannerebbe senza se e senza ma ogni forma di neoliberismo e di globalizzazione dei capitali.
E’ una lettura non accademica la mia – fatta senza badare a fronzoli di pignolerie sedicenti scientifiche.
E’ una lettura di cuore. Di Marx e della nostra società.
Non ci serve né un comunismo né una rivoluzione proletaria, e non ci serve perché è un’idea balzana e sbagliata.
Ci serve una riappropriazione del ruolo del lavoro attraverso la garanzia del diritto allo stesso.
Butto lì un’ipotesi per assurdo. Se il 35% dei giovani italiani è senza lavoro e il 65% di loro lavora facciamo una legge che incentivi l’assunzione di più lavoratori detassandone il costo e abbassi l’orario settimanale a 30 ore. Poi facciamo una legge che abroghi quelle centinaia di cavilli che impediscono ad un giovane di avviare un’impresa in tempi e costi ragionevoli e possibili.
Non dico di arrivare a dire quello che Marx con Engels aveva detto qualche anno prima (Die deutsche Ideologie 1846), e cioè che il comunismo debba abolire il lavoro, ma voglio dire piuttosto che il lavoro vada resuscitato. Morto il comunismo deve morire anche il liberismo.
Angelo Mazzei 2.7.2011