See on Scoop.it – Gazzetta Elbana
Tutto è comunicazione.
Noi stessi siamo comunicazione.
Questo è un tormentone dei nostri tempi, da Watzlawick a Berne, da Jung a Laing, da De Saussure a Habermas.
Eppure, in questo ridurre tutto a comunicazione, è venuta a mancare una parte importante di questa, inghiottita nelle trame della comunicazione: la soggettività.
D’altra parte, venendo meno la soggettività è venuta meno anche la responsabilità; in quanto, se i messaggi attraversano il mondo senza una mittenza definita e senza una destinazione univoca, i messaggi finiscono per vivere di vita propria ed essere completi in sé, senza origine né teleologia a determinarne il contenuto essenziale.
Ecco che senza un responsabile il contenuto né risulta sacrificato senza rimpianti; un po’ come Ponzio Pilato, ognuno diventa solo medium del messaggio senza esserne mai né la fonte né la mèta. Noi ci lasciamo percorrere da contenuti che non sono nostri e li condividiamo all’infinito facendone perdere traccia. Eppure già da tempo abbiamo avvertito il problema. Infatti abbiamo inventato nel campo dell’alimentazione “nomi” (dal greco nòmos, parole che sono legge) come “tracciabilità” e “km zero” che valorizzano il recupero della collocazione delle cose, e quindi della loro sorgente, il soggetto che le produce e che ne é responsabile.
Nella rete abbiamo escogitato varie forme per richiamare l’autorità dei testi, ma nessuna fino ad oggi è riuscita a colmare lo “spread” infinito che separa una citazione dal suo autore originale.
Un fatto sintomatico di questa desoggettivazione e perdita di responsabilità autorale sta nella disseminazione incontrollabile di quelle notizie che chiamiamo bufale.
La caratteristica principale della bufala sembra essere quella di dire cose eclatanti che poi si scoprono essere non vere. In realtà ancora più essenziale per la bufala è che la sua fonte non sia immediatamente svelata.
Ecco come si palesa la gravità della perdita di soggetto responsabile: ad un livello ulteriore c’è la premeditazione alla bufala, che essendo facilitata dall’invisibilità del soggetto, non è nemmeno più una premeditazione, ma un atto preterintenzionale, in quanto anche nel giudizio avviene che la debolezza acquisita del concetto di responsabilità indebolisce anche quello di colpa. Così il reato diventa minore, o meglio, appare come un reato meno grave, con intenzioni minori che hanno generato risultati maggiori alle aspettative.
Siamo così precipitati nell’infondatezza, lo Abgrund dei poeti romantici tedeschi, ma cosa più terribile è che questa approssimazione costitutiva del nostro linguaggio non induce alla preoccupazione angosciosa, la Angst degli stessi romantici, bensì regala all’ignoranza un’arma terribile per potersi esprimere. Oggi tutti hanno qualcosa da dire, perché anche senza parole, ognuno ha la possibilità di citare/condividere un’informazione. Così l’informazione – e la formazione o educazione – finiscono nelle mani di qualunque incompetente, e la cultura che ne deriva, grazie al deficit di responsabilità, è integralmente basata sull’incompetenza e l’approssimazione.
Il giallastro diventa “giallo”, ma non lo è; il bluastro diventa “blu”, ma non lo è. Siamo nel Regno degli Astri, o degli Oidi. Fatto da umanoidi che si dicono uomini.
Questa è l’essenza della crisi dei nostri giorni. Non che la crisi sia una cosa negativa e basta. La crisi è una metamorfosi, indica un cambiamento in atto, anzi, indica un’accelerazione del divenire.
Parafrasando Nietzsche:
“Tra il benessere e la crisi non c’è una differenza di natura, ma soltanto di grado.
Il benessere è solo una crisi più armoniosa, più energica e più centrata.”
Isola Etica